All’interno di un qualsiasi gruppo di individui della popolazione umana si possono avere tre tipi di relazioni organizzative.

Relazioni di dipendenza.

Relazioni verticali (dall’alto al basso, top-down), dove alcuni comandano e altri ubbidiscono; nel gruppo si instaura una gerarchia:

  1. alcuni detengono il sapere complessivo e
  2. passano agli altri solo le conoscenze necessarie per portare a termine i compiti loro affidati;
  3. chi sta in alto cura l’innovazione, la progettazione (visione. missione, obiettivi) e la strategia (quali vie seguire per raggiungere gli obiettivi);
  4. chi sta in basso si occupa dell’esecuzione, della routine, dell’operatività spicciola.

Le relazioni gerarchiche si affermano là dove

  1. più marcate sono le differenze di classe,
  2. più marcate sono le differenze nel controllo o nell’accesso alle risorse.

Si ottiene la partecipazione degli altri attraverso l’esercizio del comando in cambio dell’accesso controllato e limitato alle risorse (redditi, capitali).

Relazioni di interdipendenza.

Relazioni orizzontali (da pari a pari, tra pari, peer to peer), dove tutti gli individui del gruppo interagiscono tra loro creando interazioni circolari di vicendevole miglioramento, nel gruppo si instaura una eterarchia:

  1. le conoscenze sono diffuse a tutti gli individui del gruppo, 
  2. i quali contribuiscono, ciascuno con le proprie competenze specifiche, ad elevare il sapere comune per raggiungere gli obiettivi assegnati al gruppo; 
  3. le tecnologie informatiche consentono di connettere tutte le unità coinvolte nell’eterarchia. senza la mediazione di controlli centralizzati, ovvero gerarchici; 
  4. cade la distinzione tra chi produce nuova conoscenza e chi sfrutta la conoscenza esistente,
  5. l’intelligenza è distribuita, e 
  6. il compito di esplorare nuove soluzioni a vecchi e nuovi problemi  non è più appannaggio di pochi ma è diffuso a tutto il gruppo.

Le relazioni eterarchiche si affermano là dove 

  1. meno marcate sono le differenze di classe, 
  2. dove il controllo o l’accesso alle risorse è diffuso.

Si ottiene la partecipazione degli altri attraverso l’elaborazione di un progetto condiviso.

Relazioni di indipendenza iniziale (fase 1), o, meglio, di indipendenza responsabile, con assenza di coordinamento gerarchico e collaborazione eterarchica tra gli individui del gruppo; nel gruppo si instaura un’anarchia

  1. gli individui del gruppo (pensiamo ai singoli stati membri della UE) lavorano ciascuno per conto proprio, sulla base delle proprie conoscenze e preferenze,  e, alla fine, portano i risultati ottenuti individualmente all’attenzione del gruppo (l’istituto della UE preposto alla definizione della scelta) e, in quella sede (fase 2),
  2.  gli attori più forti gestiscono le sorti degli attori più deboli, ricadendo così nel modello gerarchico. 

I risultati presentati da ciascun individuo vengono contrattati nel gruppo fino alla produzione del risultato finale teso a produrre un elaborato “consensuale” sugli obiettivi assegnati al gruppo; 

non c’è partecipazione (anarchia) fino alla seconda fase, fase in cui gli individui del gruppo si confrontano e il risultato finale riflette prevalentemente l’elaborato del più forte (gerarchia morbida o indipendenza di mercato), senza essere mai la soluzione migliore del problema ma solo la soluzione possibile al problema date le forze degli attori in campo.

Nessuno di questi tipi di relazione è positivo o negativo in assoluto. 

Ogni tipo trova il suo momento applicativo corretto, a seconda 

  1. del quadro socioculturale di riferimento, 
  2. degli obiettivi da raggiungere, 
  3. degli individui che partecipano al gruppo.

Comunque, fino ad oggi in pratica solo due tipi di relazioni sono implementati:

  1. le relazioni di dipendenza all’interno delle istituzioni pubbliche e delle imprese private, e
  2. le relazioni di indipendenza (comunque limitate al mercato imperfetto) tra le imprese private.

Le relazioni di interdipendenza avrebbero potuto trovare un fertile terreno tra istituzioni pubbliche.

Purtroppo, la difesa del proprio “feudo” da parte dei vari politici e dei vari burocrati, insieme all’affermazione del clientelarismo, modello ibrido gerarchico e di mercato, hanno di fatto escluso, nella maggioranza dei casi, l’affermazione del modello partecipativo basato sulle eterarchie.

Quando il quadro socioculturale di riferimento, gli obiettivi da raggiungere e gli individui che partecipano al gruppo sono idonei per sviluppare relazioni di interdipendenza è evidente che la creazione di eterarchie è la scelta più efficace ed efficiente per la società e più rispettosa della dignità dei singoli individui che partecipano al gruppo.

La decisione che scaturisce da un gruppo eterarchico è una decisione condivisa che non genera conflitti nella fase di esecuzione della decisione.

La maggior lunghezza dei tempi nella fase decisionale è più che compensata dall’assenza di conflittualità nella fase esecutiva.

Il modello partecipativo

Il modello partecipativo in campo politico ed economico è il modello che si basa sulla creazione di eterarchie per la scelta degli obiettivi verso cui indirizzare la gestione della società, delle comunità, delle famiglie e delle imprese.

La gestione delle risorse per raggiungere gli obiettivi potrà poi essere condotta in forma anarchica, eterarchica o gerarchica, o in una qualche forma mista delle tre forme fondamentali, a seconda dell’ambiente socioculturale, dei compiti e delle persone a cui vengono assegnati i compiti.

Il modello dominatorio

Il modello dominatorio, quello in cui ci siamo abituati a vivere, è il modello che si basa sulla creazione di gerarchie sia per la scelta degli obiettivi sia per la gestione della società, delle comunità e delle famiglie.

Le gerarchie sono basate sulla divisione in classi che dura, tranne qualche rara eccezione, da 5.000 anni:

  1. i proprietari (di capitali, dati e informazioni) ovvero quelli che vivono del frutto del lavoro proprio e del lavoro altrui (rendite di capitale, sfruttamento),e i
  2. lavoratori, ovvero quelli che vivono del frutto del lavoro proprio ma non del frutto del lavoro altrui.

Conclusioni

Nel corso della storia più di un governo ha cercato di trasformare qualche lavoratore in proprietario (ricordiamo per esempio le politiche volte alla formazione della piccola proprietà contadina e tutte le politiche volte alla formazione di una classe media numerosa), e alcuni governi e capi di partito hanno trasformato alcuni grandi proprietari in lavoratori per diventare loro i nuovi grandi proprietari (vedi regimi totalitari, comunisti e capitalisti). In questo caso si è trattato di una sostituzione e non di una trasformazione.

Sono cambiati i musicisti ma la musica è rimasta la stessa.

Mai nessuno ha provato o a trasformare tutti i lavoratori in proprietari o tutti i proprietari in lavoratori, e in questo “tutti” sta la differenza perché il “tutti” elimina la ripartizione della società in classi.

Se vogliamo eliminare l’ingiustizia sociale dobbiamo eliminare la divisione della società in classi.

Utopico o possibile?